Stadera n. 155 – Mar/Apr 2024
“Stanott’ a casa vecch’ m’è sunnat’ … a cas’ andò nascibb’, ahimè, tant’ann’ n’ drat’.” È lo struggente incipit di una delle più belle poesie del professor Gino Garribba, nostro concittadino, ed impareggiabile autore di versi in vernacolo.
La casa vecchia, quella dei primissimi anni della mia lontana infanzia: la casa dei NONNI. Era in corso Vittorio Emanuele, il primo palazzo dopo la Basilica del Santo Sepolcro: ai fianchi del portone due colonne, sul frontone un mascherone apotropaico con dei lunghissimi baffi.
I NONNI, dunque: ho vissuto con loro sino al giorno del mio matrimonio con Maria. Per la verità, purtroppo, il NONNO ABRAMO ci aveva lasciati appena due anni prima ma la NONNA GIUSEPPINA ha potuto conoscere e coccolare i miei figli per lunghi anni.
Il ricordo dei NONNI mi accompagna da sempre: il nonno ABRAMO, un uomo buono e mite, sempre disposto al sacrificio, sempre pronto al consiglio, al suggerimento. Un nonno affettuoso e dotato anche di un grande senso dell’ironia bonaria e saggia. Un ricordo: quando mia sorella Anna, di poco più piccola di me, cercava di ottenere qualcosa (un permesso, un regalo) e lo circuiva con carezze e moine, si sentiva immancabilmente rispondere: “quando il diavolo t’accarezza vuole l’anima”.
E ancora: Nonno raccontava spesso del suo ferimento durante la Prima Guerra Mondiale ed era molto orgoglioso del suo essere un “ufficiale in congedo” e “comandante” (come si diceva allora, ora "presidente") per tantissimi anni della Sezione di Barletta dell’UNUCI (Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia). Nonno era anche un uomo di profonda fede che testimoniava senza reticenze (sono rimasti nella storia i suoi “giovedì di ritiro spirituale per professionisti” che si tenevano mensilmente nella Chiesa di Nazareth, predicati da Mons. Donato Cafagna).
Ho sempre provato un affetto filiale nei confronti di mio NONNO e… un ricordo ancora mi sovviene: in occasione del nostro comune onomastico io ero ansioso perché volevo essere il primo a fargli gli auguri; ma lui immancabilmente rispondeva che la priorità doveva essere piuttosto la mia in quanto “il sole che sorge ha più adoratori del sole che tramonta” (grande verità che, a mia volta, ho adottato per fare gli auguri di buon onomastico al mio nipotino Abramo!).
La sua scomparsa ha rappresentato un durissimo colpo per me (il primo grande dolore della mia vita!); per ricordarlo ho pensato di dedicargli la mia tesi di specializzazione in Diritto del Lavoro scrivendo così… “alla sacra memoria di mio NONNO del quale, molto indegnamente, porto il nome”.
Ed ora vi parlerò anche della NONNA GIUSEPPINA, la mia dolcissima nonnina.
Intanto, una coppia in perfetta simbiosi: non li ho mai sentiti litigare, alzare la voce; un rispetto reciproco sin nei più piccoli gesti quotidiani… un grande esempio al quale tutti noi ci siamo abbeverati.
Nonna GIUSEPPINA, dunque, una vera regina della casa… e il primo a renderle omaggio era… il suo RE! Come mi mancano i suoi sorrisi, le sue raccomandazioni, le sue coccole, materiali e spirituali.
La mattina era Lei a prepararmi la colazione… in verità molto modesta ma anche molto appetitosa: una “cialdella” di pane bagnato, pomodori, olio, sale (e forse anche un pizzico di origano).
E alla Messa, nella nostra Cattedrale, dove mi portava a mano a mano, io piccolo fanciullo: forse avevo cinque anni ed un giorno, notando il mio sguardo meravigliato, attratto dall’austerità del luogo, mi sussurrò: “qui abita Dio”.
Beh, so bene (anche grazie ai miei studi diaconali) che Dio non abita solo in chiesa ma è dovunque (“Ovunque il guardo io giro, immenso Dio ti vedo”); però quella frase è restata impressa a fuoco nel mio cuore e confesso che quella semplice ma verissima affermazione mi torna in mente ogni volta che entro in una chiesa, insieme al ricordo della fede della NONNA GIUSEPPINA: una fede semplice, come era lei, ma ferrea. Ed io oggi posso affermare, senza timore di sbagliare, di aver ereditato quella fede.
E ancora un ricordo, la recita quotidiana del Santo Rosario alla quale chiamava a raccolta tutta la famiglia, piccoli e grandi. Specialmente durante la guerra, nella recita delle litanie, quando la Nonna arrivava alla Regina Pacis (allora le nostre preghiere erano rigorosamente in latino) ripeteva per tre volte l’invocazione ed ogni volta il tono della sua voce si faceva più acuto, risuonando come un’accorata e struggente implorazione.
O Dio, perché scrivo queste cose, che dovrebbero restare, intime e discrete, chiuse nella mia memoria e nel mio cuore? Chissà, forse perché ogni volta che passo in corso Vittorio Emanuele, davanti alla vecchia casa “andò nascibb’, ahimè, tant’ann’ n’ drat", il pensiero corre ai ricordi di quei due vecchietti che affettuosamente, mano nella mano, e con la loro quotidiana testimonianza, mi hanno insegnato a lottare, a vivere ed a credere.
Corso Vittorio Emanuele, la casa dei NONNI e ad ogni passaggio, uno sguardo fugace ai balconi del primo piano: quello dello studio del nonno, quello più grande del salotto e il terzo, quello della loro stanza da letto dove ho trascorso tante notti coccolato fra le braccia amorose di due NONNI meravigliosi.
Già, ad ogni passaggio davanti a quella casa; e perdonatemi se in conclusione cito ancora una volta la bella poesia di Garribba, perché vi confesso che... “avav’ tutt’ i volt’ l’impression’ che a cos’ procurav’ n’emozion’".
diac. Abramo Ferrara