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Abramo Ferrara

DE MARIA NUNQUAM SATIS!

Stadera n. 156 – Mag/Giu 2024


È assolutamente vero questo aforisma riferito alla nostra Mamma celeste: "Di Maria non si parlerà (non si scriverà) mai abbastanza"! Pare che lo abbia coniato, veramente ispirato, un vescovo carmelitano Robertus Berthelot vissuto negli anni intorno al 1600. Ma quanto si è scritto sulla figura di Maria, Madre del Figlio di Dio: libri, manuali, articoli, preghiere e chi più ne ha più ne metta!

Non è mio desiderio addentrarmi in una ricerca dottrinale o sociologica, piuttosto mi interessa il nostro sentimento di devozione e di amore, specie in questo mese di maggio a Lei dedicato, verso una persona cantata e pregata in tutte le lingue e in tutti i tempi da tanti di noi, si potrebbe dire suoi autentici innamorati. Sarebbe difficile, anzi impossibile, ricordarli tutti: mi limiterò a citarne solo tre, nostri contemporanei. 


Primo fra tutti, san Giovanni Paolo II che nel suo motto episcopale aveva scritto Totus Tuus (tutto tuo) rivolto a Maria. Poi il venerabile don Tonino Bello, autore di tanti libri sulla Madonna, per brevità ne ricorderò solo l’ultimo, uscito pochi giorni dopo la Sua scomparsa: “Maria, donna dei nostri giorni”; trentuno capitoli, quanti i giorni del mese di maggio, nei quali si rivolge a Lei in maniera struggente, definendola di volta in volta "Donna feriale, del primo passo, missionaria, di frontiera, di servizio, bellissima, dell’ultima ora, compagna di viaggio". Ed ancora, il cardinale Angelo Comastri, anch’egli prolifico autore di testi mariani tra i quali ne ricorderò soprattutto due: "È stata Lei. La Madonna e le conversioni" e l’altro "Ecco la tua Mamma".


Mbeh, e se mi consentite un azzardo ne aggiungo un quarto, perché anche io mi sento un innamorato di Mamma Maria. Si, innamorati; altrimenti come si spiegherebbe il proluvio di fede e di devozione che copre l’intero pianeta, nei confronti della Madonna? Ed è proprio perché ci si stente figli che ognuno la vuole tenere per sé! Così si spiegano i diversi titoli con i quali la definiamo: "La nostra amata Madre la Signora di Guadalupe in Mexico", di "Lourdes", del "Buon Consiglio", del "Carmelo", di "Fatima", della "Madia", "Madre del Divino Amore", dello "Sterpeto", di ‘Pompei’.


Ecco, una particolare devozione è presente nella nostra parrocchia per la Madonna di Pompei: un Suo quadro ci venne regalato dal Suo santuario in occasione della prima venuta in pellegrinaggio, sollecitato da don Luigi Filannino recatosi (in mia compagnia) a Pompei per perorarne la realizzazione. E questa bellissima esperienza si è ripetuta con don Rino Caporusso quando, sulla Stadera, scrivemmo insieme un messaggio di benvenuto: “Arriverai, ancora una volta, da lontano; sei già venuta a farci visita, a consolare le nostre tristezze, a darci forza. Arriverai, e anche questa volta noi ti correremo incontro.” E fu un tripudio di popolo orante, di emozioni, di lacrime anche se la visita durò, purtroppo, pochi giorni entrambe le volte.


Maria, una semplice fanciulla di Nazareth alla quale il Signore chiede di diventare la propria Mamma. E Lei accetta, affidandosi senza condizioni alla volontà divina, disponibile ad affrontare tutte le incognite che questo compito le avrebbe riservato ma profeticamente consapevole che “d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”.

La fanciulla di Nazareth, già promessa sposa di Giuseppe, al quale don Tonino Bello, con la sua poetica fantasia, immagina di rivolgere un’affettuosa serie di domande: “Dimmi, Giuseppe, quand’è che hai conosciuto Maria? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l’anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso? O forse un meriggio d’estate, in un campo di grano, mentre, abbassando gli occhi splendidi per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all’umile mestiere di spigolatrice? Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza, che forse era la sua prima benedizione, e tu non lo sapevi?”.


Innamorati di Maria, della Mamma di Gesù, della nostra Mamma celeste. Bellissimo un altro pensiero di Michael Quoist che immagina di ascoltare Gesù che sta parlando della propria Madre: “Dopo essere risalito al Cielo, Ella mi mancava e Io le mancavo. Ella mi ha raggiunto con la sua anima e con il suo corpo. Non potevo fare diversamente. Non ho potuto, non era possibile. Mi sarebbe costato troppo. Sono suo Figlio. E poi l’ho fatto anche per gli uomini miei fratelli. Perché abbiano una Mamma in Cielo. Se gli uomini fossero più accorti, ne approfitterebbero; dovrebbero sospettare che io non posso rifiutarLe nulla. Che volete, è mia Madre”!


Maggio, dunque, il mese di Maria, il mese nel quale il popolo barlettano si riversa in Cattedrale per rendere omaggio alla sacra Icona che, in processione, va festosamente e devotamente a rilevare dal Suo Santuario: e “a Madonn’ da soop’ o baldacchein’ c’a feccia negr’e u Criatour’ n’zein’, a v’dè tutt’ sra ggent’ ca pr’gav’, faciav’ a grezz’ a c’sa m’r’tav’”, secondo un’altra bellissima poesia dialettale del nostro Gino Garribba.

  

La Mamma del Cielo, come le nostre mamme. Ha gioito dei progressi del suo piccolo Gesù, come le nostre mamme. Ha sofferto per i pericoli e le traversie che ha affrontato il suo Gesù ormai uomo, come le nostre mamme. Ha pianto disperatamente sotto la Croce per la morte di suo Figlio Gesù, come tante nostre mamme. Lei, la Madre di Dio, alla quale non è stato risparmiato proprio nulla: ha seguito Gesù nel suo peregrinare, ma con discrezione, quasi annullandosi, quasi a scomparire ma per tornare presente, per sempre, in quel supremo affidamento che Nostro Signore Le consegnò sul Golgota, prima di morire: “Ecco tuo figlio”, cioè noi, tutti noi, figli nel Figlio.


Noi che in questo santo mese di maggio ti veneriamo nostra protettrice, umilmente ti preghiamo: Madre santissima, Madre nostra, “non ci lasciare mai soli a salmodiare le nostre paure. Anzi, se nei momenti dell’oscurità ti metterai vicino a noi … le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto. e sveglieremo insieme l’aurora. Così sia.” (venerabile don Tonino Bello).


Ma è proprio vero: DE MARIA  NUNQUAM  SATIS!


diacono Abramo Ferrara







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