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Il centenario dalla nascita di don Lorenzo Milani, essendo nato il 27 maggio 1923, e della pubblicazione di Lettera a una professoressa, una bella opportunità per riflettere sulla straordinaria figura di educatore e sull’esperienza realizzata a Barbiana, la scuola che fa uguali! Il libro, scritto nel 1967 prende spunto dalla bocciatura di uno degli alunni di don Milani agli esami statali. Il volume è piccolo ma ha creato discussioni lunghe e profonde sul valore e lo scopo dell’istruzione, in Italia e non solo. Il suo messaggio fondamentale è che la scuola non deve occuparsi solo di Pierino, il figlio del dottore, nato in una famiglia dove la cultura è già di casa e che dunque non ha problemi ad essere sempre promosso; la scuola non può lasciare indietro i tanti ragazzi che partono da condizioni svantaggiate, anzi è il mezzo più potente per renderli finalmente uomini e cittadini uguali agli altri.
Il cuore di don Milani è stato così capace di empatia da farsi ultimo, cogliendo le necessità più vere degli altri esseri umani e dare tutto ciò che aveva e tutto ciò che era per rispondere alle necessità del momento. La sua pedagogia è infatti scolpita ne Il fine ultimo è dedicarsi al prossimo, che inculcava nei suoi ragazzi e che riassumeva il suo stesso cammino pedagogico ed esistenziale. Non stupisce allora che abbia dedicato la sua vita a tirare su uomini capaci di vivere con consapevolezza il loro tempo e la loro società, da protagonisti. Don Milani quindi offre ancora oggi una chiave d’ingresso ai problemi che si presentano in una forma e in una dimensione inaspettata, aiutando a ritrovare il senso stesso di una scuola che deve servire a umanizzare, deve contribuire alla costruzione di una società comunitaria, fatta cioè di uomini capaci di relazione, per ritrovare quella cifra comune oltre ogni barriera. Un messaggio, quello del Priore di Barbiana, sempre attuale perché educa al rifiuto di una vita ripetitiva e condotta senza entusiasmi.
La lezione della scuola di Barbiana ci appare in tutta la sua moderna attualità: la sua scuola aperta, il programma condiviso dagli allievi, il metodo cooperativo, il fondamento sul rapporto educativo maestro-alunno ma anche sul legame tra compagni, i più grandi dei quali insegnano ai più piccoli, tutto per conferire, all’opera dell’apprendere, coerenza e forza espressiva. Così l’educatore Milani riusciva a sviluppare negli allievi l’autonomia, la riflessione critica, la comunicazione, la conoscenza e le abilità. Un modo di intendere la scuola, e un pensiero nuovo, che nascevano in una società in cui il diritto all’istruzione non aveva ancora ricevuto tutta la sua attualizzazione, ma che, proprio per la sua capacità di testimoniare un bisogno primario dell’uomo, trova oggi ampi e convinti consensi. Dunque, da quella Lettera a una professoressa in cui i ragazzi di Barbiana, assieme al loro Priore, denunciavano un metodo didattico che, al di là delle buone intenzioni, diventava ostativo alla realizzazione, anche sociale, dei ragazzi delle classi più povere, arriva ancora oggi quell’I care che dovrebbe costituire lo slogan riassuntivo di uno stile di fare scuola con il cuore, orientato alla presa di coscienza civile e sociale, improntato al valore dell’accoglienza, in una società complessa e in costante cambiamento, per insegnare a ogni alunno ad apprendere e a vivere con gli altri.
Francesca Leone
professoressafrancesca@gmail.com