Il film, tratto dal romanzo omonimo di Romain Gary, è uno dei titoli di punta della stagione e si parla già di una corsa ai premi più importanti del 2021, Oscar in testa, soprattutto perché il cuore pulsante dell’opera è Sophia Loren, che ha accettato di tornare sul set dopo dieci anni, perché dietro la macchina da presa c’è suo figlio Edoardo. Il testo originale è ambientato nella Parigi del dopoguerra, Ponti ha scelto di collocare la storia nella Bari odierna. Lì vive Madame Rosa un’anziana ebrea, sopravvissuta all’orrore di Auschwitz, ma anche al degrado della strada. Madame Rosa nel tempo si è presa carico dei figli delle prostitute e ha potuto tirare avanti così, in una quotidianità invasa dai ricordi del passato e dagli incubi della deportazione. Un giorno il dottor Coen le affida un bambino senegalese di dodici anni, Momo, senza una casa e una famiglia. Momo è arrabbiato con la vita, perché gli ha tolto tutto, anzi non gli ha mai regalato nulla; i primi giorni di convivenza risultano faticosi, per i modi spicci dell’anziana donna e perché Momo è insofferente alle regole. Qualcosa poi cambia, Madame Rosa inizia a mostrare la fragilità della sua età e il peso del suo ingombrante passato, nei suoi occhi non c’è vergogna, amarezza o lamento, anche se con lei la vita è stata particolarmente avara, come per il piccolo Momo. Lei però non le ha voltato le spalle, ma l’ha affrontata e vissuta tutta, unendo al coraggio lo spirito di solidarietà: la sua casa è diventata un rifugio per tutti, a cominciare dai più disgraziati, senza fare differenze tra colore della pelle o religione, è un piccolo spazio, “un buco” dice Momo dove però l’umanità tutta trova rifugio. Il film è una storia delicata che tocca i temi centrali del nostro vivere sociale, a cominciare dal dovere-bisogno di accoglienza, tolleranza e solidarietà. Sicuramente un film da vedere!
Liana Caputo liana.caputo@gmail.com