Stadera n. 158 – Set/Ott 2024
1) Don Giovanni Bosco più volte ha affermato che la vocazione sacerdotale è il più grande dono di Dio per un giovane e un grande tesoro per la Chiesa. Manca circa un mese alla tua ordinazione sacerdotale, quali pensieri stanno attraversando le ultime giornate d’attesa?
Parto da una grande certezza, in cui credo fermamente: in cielo si esulta per ogni uomo che fa sul serio con Dio e nella Chiesa, scoprendo e facendo germogliare il seme di felicità riposto nella sua vita, a prescindere dal modo in cui prende forma. Detto ciò, ho nel cuore un grande sentimento di fiducia: ho imparato negli anni a mettere in gioco tutto me stesso in quel che faccio, ma ancor più che in tutto ciò l’amore di Dio precede e supera ogni mio sforzo. Sono pienamente convinto in cuor mio che Dio mi sarà sempre accanto, che guiderà il mio sguardo a riconoscere i segni della Sua presenza in ogni giorno del mio ministero. È la mia più grande serenità!
2) Sfogliando l’album di ricordi, quali persone ed eventi hanno orientato il tuo cammino vocazionale?
Non basterebbe una chiacchierata, men che meno queste poche righe per rispondere compiutamente a questa domanda. Non faccio nomi né racconto aneddoti, dico semplicemente che la fede e la gioia si trasmettono per contagio. La Chiesa è ricca di testimonianze straordinarie, di parole e gesti semplici di veri cristiani col profumo di Vangelo, senza la paura di andare controcorrente e di seminare là dove umanamente sarebbe impensabile. Tutto questo lascia il segno in un cuore in ricerca come il mio; un caro amico prete mi dice sempre “la vocazione è roba da innamorati”: ringrazio Dio per chi nelle comunità e nelle amicizie, in parrocchia e a scuola, all’università e sul posto di lavoro ha acceso nel mio cuore questo desiderio che Dio mi ha aiutato a conservare e ringiovanire sempre nel tempo.
3) Quale relazione il sacerdote riesce a costruire oggi con la gente? C’è ancora quel rapporto confidenziale che si trasforma in direzione spirituale?
Rispetto alla mia infanzia, si nota chiaramente un cambio radicale nel modo in cui la gente s’approccia ad un prete. Se da un lato spesso viene meno il rispetto reverenziale per il ruolo, dall’altro il prete è visto finalmente anche come un uomo, con tutta la semplicità e la profondità che questo comporta. Il rapporto confidenziale, e ancor più la direzione spirituale, sono dinamiche che si instaurano solo in un secondo momento, dopo che si sta quotidianamente davanti alla gente con autenticità, mostrando la verità e la credibilità delle nostre parole, dei nostri gesti e delle nostre scelte; infatti ci accorgiamo immediatamente quando abbiamo difronte una persona che ha preso sul serio la sua vita trovandone il Senso. Chiedo a Dio di mantenermi sempre autentico nel mio ministero, perché possa accompagnare chi incontrerò con la paternità e la fratellanza donatemi da chi accompagna me.
4) Ora stai per diventare prete, che idea ti sei fatto circa la crisi delle vocazioni al sacerdozio?
Penso a quante volte nella storia abbiamo detto “ora va tutto male”. Sicuramente viviamo in un contesto complesso, nel senso pieno del termine: la società ha tante “pieghe”, risvolti spesso radicalmente lontani dal cristianesimo e che fatichiamo ad interpretare. Ogni epoca ha le sue sfide che Dio ci chiede di abitare: nelle enormi contraddizioni del XIII secolo, Dio ha donato alla Chiesa San Francesco e San Domenico. Chissà quanti santi nel silenzio stanno facendo ascoltare la loro voce profetica! La fatica che ci fa sudare oggi nell’essere autentici cristiani ci chiama alla radicalità del nostro battesimo, del nostro rapporto con Dio e della nostra testimonianza nella Chiesa e nel mondo. Giovanni Paolo II, che in tempi non sospetti aveva intravisto il corso degli eventi, invitava la Chiesa a non aver paura di “ripartire da Dodici” e ad avere a cuore piuttosto la trasparenza nel rapporto con Dio e la passione nel vivere di conseguenza il quotidiano. Se vogliamo, la società scristianizzata di oggi è un’occasione straordinaria: gli uomini sono così a digiuno di vero cristianesimo che una semplice ma vera presenza comunitaria cristiana desta davvero stupore nella gente: lo dico per esperienza vissuta. E questo avrebbe una portata straordinaria per ogni vocazione, non solo in quelle al sacerdozio!
5) Pensando al tuo futuro ministero, che tipo di prete sarà Don Giuseppe, c’è un modello particolare a cui vorrai ispirare il tuo servizio?
Il tempo mi ha persuaso, con grande serenità, che il prete non è Superman: non ci è chiesto di saper fare tutto, ma di essere seme e principio di comunione perché in tutta la comunità a cui siamo donati ciascuno dia il suo contributo. Detto ciò, è ovvio che ognuno ha peculiarità ed inclinazioni, ma chiedo a Dio semplicemente di essere il prete di cui ha bisogno ogni singola comunità e persona a cui mi affida. Don Peppe Diana, prete napoletano ucciso nel 1994, non amava essere chiamato “prete anti-camorra”, quanto piuttosto e semplicemente un prete che ha assolto il suo ministero: non esistono preti fatti e confezionati per affrontare una precisa sfida pastorale, ma solo uomini che prendono sul serio il Vangelo, che sanno ascoltare la realtà e la missione in essa racchiusa. Ovviamente sono grato delle tante testimonianze credibili dei sacerdoti incontrati prima, durante e dopo il seminario, da cui ho attinto con gratitudine e che mi hanno mostrato un profilo particolare del cuore di Gesù. Il vero modello per il ministero di ogni prete è e deve sempre restare il sacerdozio di Cristo!
Francesca Leone