Stadera n. 156 – Mag/Giu 2024
Premiato agli Oscar per il miglior film internazionale e il miglior sonoro, J. Glazer dirige l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Martin Amis. È un film che per certi aspetti sembra bucolico ed edificante, se non fosse che racconta il quotidiano di Rudolf Höss, comandante del campo di sterminio di Auschwitz, che viveva lì accanto con moglie e figli, in una casa graziosa e con giardino. Dietro il muro che divide la casa dal campo di concentramento s’intravedono le ciminiere dei forni crematori.
Rudolf Höss, sua moglie e i loro cinque figli trascorrono la propria quotidianità all’interno della cosiddetta aria di interesse, un’area di circa 25 miglia attorno al campo, volutamente ciechi all’orrore che si sta consumando al di là del muro che separa la propria casa dal campo di concentramento. Le giornate passano serene con Höss che porta i bambini a nuotare e pescare, mentre la moglie cura il giardino che ha progettato lei stessa.
Occasionalmente gli effetti personali dei prigionieri, come abiti, gioielli o cosmetici vengono consegnati alla famiglia che se ne appropria. Al di là del muro del giardino si sentono continuamente spari, urla, latrati di cani e rumori di treni e fornaci. Un giorno il padre porta i figli a fare il bagno al fiume, qui l’idillio si spezza ed escono in fretta dall’acqua. Dal campo di concentramento, infatti, stanno sversando ceneri ed ossa nel fiume.
La forza del film non è nella storia, ma nel modo in cui si racconta: soni i suoni del lager a raccontare la catastrofe celata dalla cinepresa. La Zona di interesse è uno dei maggiori film mai realizzati sugli Olocausti, cioè sulle tragedie epocali. Un’opera ipnotica e dalla narrazione serrata nel raccontare la mostruosità dell’Olocausto. Un capolavoro assoluto, che dietro le apparenze va oltre la questione trattata e investe la percezione del presente. Un film sicuramente da vedere!
Liana Caputo