Il tema caldo del fine-vita, al centro del dibattito politico e bioetico, sta coinvolgendo, molti medici che non considerano l’eutanasia esattamente una “dolce morte” e che vedono strade alternative molto più valide, una fra tutte, l’eubiosia. Ma, cos’è l’eubiosia e perché è l’esatto contrario dell’eutanasia? Ne abbiamo parlato con il professor Filippo Boscia, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, al suo terzo mandato – al quale auguriamo un lavoro sempre proficuo – il quale afferma che il progetto dell’eubiosia nasce grazie al contributo di medici attenti e scrupolosi, impegnati nella cura dei malati oncologici. Lo studio ha evidenziato come tali pazienti, con questa modalità terapeutica, vivono meglio e hanno più possibilità di guarire e rispondere meglio alle cure, soprattutto se deospedalizzati.
Si è alla ricerca di una medicina sempre più territoriale e all’abolizione della concezione ospedalocentrica della malattia. Con questa visione si potranno creare ospedale che chiameremmo senza muri, proprio perché le persone ammalate rientrano nei loro personali domicili. L’eubiosia è una valida alternativa all’eutanasia. L’ammalato non chiede di morire, ma chiede di non soffrire e continuerà a chiedere di non morire se sarà assistito con umanità. Chi è malato chiede di essere ascoltato, di rimanere vivo fino all’ultimo giorno, chiede di essere aiutato dalla società ma anche dalla famiglia. Alla base di questa filosofia – ha ribadito Boscia – c’è la convinzione che sia fondamentale un lavoro familiare, che considera la vita un valore sacro ed inviolabile. Da qui, dunque, una visione che mette la vita umana al centro di ogni cosa, tanto di un bambino appena nato quanto di un uomo morente. Entrambi, infatti, sono sullo stesso piano e nessuno dei due va abbandonato. La vita appena nata a quella che sta per finire sono fragili e hanno le stesse esigenze e in nessun caso si deve ricorrere all’eutanasia per lenire il dolore, dunque per pietà. L’aiuto medico a far morire una persona non rappresenta nessuna forma di pietà, ma, anzi, non fa altro che incrementare le sofferenze fisiche, morali e sociali che dice di voler combattere.
Francesca Leone professoressaleone@gmail.com