Stadera n. 154 – Gen/Feb 2024
Il suono lugubre di una sirena d’allarme, la corsa affannata verso il rifugio, il rombo degli aerei che stanno bombardando e lo scoppio assordante delle bombe… e mi sveglio di soprassalto, madido di sudore e oppresso da un’angoscia mortale. Gesù, era solo un sogno, un terribile sogno ma quanto veritiero. Già, un sogno che ha fatto tornare alla memoria momenti realmente vissuti nella mia fanciullezza.
Anche allora c’era la guerra e ricordo che dormivo vestito, pronto a scappare il più velocemente possibile. Abitavo al secondo piano di un vecchio palazzo e il rifugio era a piano terra. Un rifugio sicuro? Non so; era lo Studio legale di mio Nonno e lì si rifugiavano con noi tutti gli abitanti del palazzo. Oggi mi domando… e se fossimo stati colpiti da una bomba, che probabilità di salvarci avremmo avuto?… Probabilmente quasi nessuna. Ma, tant’è: quello era il nostro rifugio.
E continua il mio ricordo: il rombo degli aerei che passavano sulle nostre teste, lo scoppio degli ordigni sganciati che facevano tremare le pareti del rifugio. E mia MADRE che si chinava su di me per proteggermi con il suo corpo. Ecco, questo è il ricordo più vivido, più concreto: sento ancora su di me il suo respiro affannoso, il suo calore, il suo abbraccio… “fragile scudo di carne” a protezione della vita che mi aveva regalata una prima volta e che ora difendeva a prezzo della sua.
In questi giorni ho visto in televisione alcune foto di madri che hanno fatto lo stesso gesto nel disperato tentativo di difendere i propri figli in quella dannata guerra che si sta combattendo nella Terra di GESÙ. Già, le Mamme compiono sempre gli stessi gesti: per le Madri la nostra vita viene prima della loro; e questo avviene, da sempre, a qualunque latitudine.
E queste considerazioni mi hanno fatto ricordare una pagina struggente di Primo Levi, tratta dal suo libro “Se questo è un uomo” che racconta della vita dei prigionieri nei campi di concentramento nazisti: “… ma le madri vegliarono per preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare, e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse, le madri, ben sanno e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare?”.
E purtroppo ancora oggi le assurde guerre, che si combattono in tutto il mondo, si ripropongono terribilmente uguali da sempre e non tengono conto del dolore che producono, dei sacrifici che richiedono, dei danni irreparabili, delle ferite inferte ad interi popoli, delle distruzioni di case, di città intere ridotte a cumuli di macerie, degli addii senza ritorno e delle LACRIME DELLE MADRI. Dio mio, che cosa mai posso fare io, povero vecchio, per scongiurare tanto sangue, tanti lutti, tante lacrime?
Una cosa, intanto: quella di raccontare ai giovani le tragedie che ho vissuto nella mia fanciullezza: io c’ero il 12 settembre 1943, la dies irae della nostra amata Barletta quando fu perpetrato l’eccidio dei Vigili urbani e dei Netturbini; io c’ero quando (lo volevamo o no) ci vestivano da ‘figli della lupa’ e da ‘balilla’ e ci mettevano fra le mani un fucile giocattolo (riproduzione perfetta dello storico ‘moschetto modello 91’) che, però, già simboleggiava l’assurda possibilità di doverlo usare contro il “nemico”.
Io c’ero… ed ora sento imperioso dentro di me il monito del profeta Gioele: “raccontatelo ai vostri figli, e i vostri figli ai loro figli, e i loro figli alla generazione seguente” (Gl 1,3): già, raccontare per ricordare, raccontare affinché certe assurdità non si ripetano mai più. E penso che questa sia l’unica cosa che io possa fare nei confronti di una generazione che non ha conosciuto questi orrori e che oggi, forse, è un po’ smarrita perché impreparata ad affrontare questa terribile realtà. O forse no! C’è ancora un’altra cosa da fare, e credo che sia la più importante e necessaria: la preghiera. Una preghiera accorata ed incessante al Signore della Vita.
Facciamola, tutti, questa preghiera, sine modo, senza misura.
Perdonate, carissimi, le mie farneticazioni. Concludo subito; ma consentitemi un’ultima notazione: nei giorni scorsi il nostro Santo Padre Papa Francesco ha chiesto agli uomini della guerra di mettere fine a tanto dolore “in nome di Dio”! Ma io sommessamente, e chiedendo perdono a Papa Francesco, mi permetto di aggiungere anche : “in nome delle MADRI, di tutte le MADRI del mondo!!!!!
Abramo, diacono