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Stadera n. 152 – Set/Ott 2023
Il disagio giovanile è sempre più diffuso. Le motivazioni sono diverse e vanno da quelle sociali a quelle più strettamente familiari. La scuola, in tal senso, riveste senza dubbio un ruolo importante. Spesso si cercano facili spiegazioni imputando il malessere al distanziamento sociale imposto dalla pandemia. In realtà ben più profonde sono le ragioni. E vanno cercate nel collasso educativo della famiglia e della scuola, avvenuto con il progressivo passaggio dalla società della disciplina che si regolava sul ciò che era permesso e ciò che era proibito, alla società dell’efficienza e della performance spesso misurata dal numero dei like e dei follower a cui viene affidata la propria identità. La famiglia oggi è molto carente in termini educativi. I genitori parlano poco con i figli, soprattutto in tenera età, e in compenso li riempiono di regali. Inutile poi lamentarsi se, in età adolescenziale, i ragazzi non desiderano più niente e sono indifferenti a tutto. Oggi poi i genitori vivono spesso il mito dell’eterna gioventù che li conduce a comportamenti non proprio esemplari. Ma veniamo alla scuola che accompagna i nostri ragazzi per dodici anni della loro vita. Istruire o educare? Quale ruolo deve assumere la scuola? Umberto Galimberti, filosofo e sociologo, ha cercato di dare una risposta. Secondo il noto professore universitario la scuola ha fallito quando ha smesso di educare. Insomma istruisce quando riesce ma non educa, non apre il cuore degli studenti, e gli insegnanti che non sanno aprirlo e demotivano anziché motivare, dovrebbero cambiare mestiere. Ospite in Puglia, lo scorso 4 luglio, a Bit Libri, al festival letterario di Bitritto, diretto dalla dott.ssa Cristina Maremonti, Galimberti ha sottolineato come “Istruire significa trasmettere contenuti culturali per via intellettuale da una mente all’altra: dall’insegnante al discepolo. Educare significa curare la dimensione emotivo-sentimentale dei ragazzi aiutandoli a passare dalla pulsione all’emozione. La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore”. Ma per accorgersi dei percorsi emotivi e sentimentali di questi adolescenti, occorre che gli insegnanti dispongano di empatia, che è la capacita di leggere cosa passa nella mente e nel cuore degli alunni che ogni giorno hanno di fronte. Tutti noi abbiamo studiato con piacere le discipline dei professori che ci avevano affascinato, e trascurato quelle dei professori che ci demotivavano. E sui giovani è ancora Galimberti a cercare di tracciare il quadro. Loro sono il vero problema. Ai ragazzi manca uno scopo e un perché, per cui bevono e si drogano. Sono molti i giovani in Italia che si suicidano in età scolare. Ci sono tre milioni di giovani con disturbi alimentari, due milioni di autolesionisti, duecentomila affetti da sindrome hikikomori che li trattiene chiusi nella loro stanza, connessi solo con il loro computer. I giovani dunque stanno male. Se questo è lo scenario, allora è urgente che scuola e famiglia incomincino a prendere in seria considerazione la loro capacità di cura, assistenza, aiuto. È necessario rimettersi accanto ai giovani e comprendere le loro ragioni, i loro timori e scommettere con loro, accompagnandoli nello studio e fornendo loro il necessario supporto affettivo e umano. Credere in loro più di quanto essi credano in sé stessi. Dare fiducia e speranza!
Leone Francesca professoressafrancesca@gmail.com