Padre Saverio Paolillo, missionario comboniano in Brasile, ci scrive il 5 Aprile con questo messaggio intenso e pieno di speranza.
Un boss della mafia ce l’ha fatta ed io no. Lui è riuscito ad arrivare in Italia dal Brasile ed io no. Avrei voluto anch’io celebrare la Pasqua con la mia famiglia, ma questo diritto mi è stato negato. Sono lontano dall’Italia già da alcuni anni. Avevo il biglietto aereo prenotato sin dall’anno scorso per il 30 marzo, ma mi hanno detto che non potevo partire. Le frontiere sono chiuse a causa della pandemia. Comprendo le ragioni e me ne faccio pace. Aspetto giorni migliori. In fin dei conti abito in Brasile. Qui la pandemia è devastante. Sono oltre 12 milioni le persone infettate con un saldo di 335.500 morti. E le previsioni per il prossimo futuro sono terribili. Un’università americana prevede altri 100 mila morti per il mese di Aprile. È un genocidio che rischia di fare impallidire quello commesso contro le popolazioni indigene durante i primi anni della colonizzazione e contro il popolo africano condotto a forza durante la tratta degli schiavi. Capisco che devo starmene al posto mio in queste condizioni. Non voglio mettere in rischio la vita di nessuno, ma mi indigna vedere che un boss mafioso sia riuscito a forare il blocco e ad entrare facilmente nel mio Paese. La criminalità trova strade libere e frontiere aperte più delle ragioni umanitarie, soprattutto quando compra l’anima delle persone attraverso la corruzione.
Al rivendicare i miei diritti come cittadino italiano mi hanno detto che io sono cittadino italiano residente all’estero. Sono inchiodato alla croce dell’AIRE (Associazione degli Italiani Residenti All’Estero), per cui non rientro nella lista dei cittadini che tornano a casa, ma di quelli che vanno a visitare la famiglia. Insomma devo attenermi alle regole della zona rossa. Niente visite ai familiari, anche se manco da tre anni. Insistono che ora la mia residenza è in Brasile. Ma io ho ancora una casa in Italia dove ho vissuto una buona parte della mia vita, in un quartiere e in una città che amo. Questa non è la mia seconda casa o solo la casa della mia famiglia, è ancora la mia casa. Ricordo quando feci la tessera di identità al mio paese. Riportarono l’indirizzo del Brasile. Uscii dall’anagrafe con la sensazione di essere un cittadino straniero residente provvisoriamente in Italia. Non ci volle molto per constatare che questa impressione non era solo mia. Pochi giorni dopo, fermato da una pattuglia della stradale, i poliziotti vedendo l’indirizzo sulla tessera di identità, mi domandarono se avevo il permesso di soggiorno. Mi sembrava di essere diventato un forestiero nella mia propria terra. Non sono venuto in Brasile come latitante, né come uomo d’affari. Sono arrivato come missionario. Non ho fatto questa scelta per guadagnarmi la vita con i soldi, ma per perderla e ritrovarla nell’amore. Ci ho guadagnato in umanità. Ci resto volentieri, ma non posso farci niente se sento nostalgia della mia terra.
Ho imparato dai missionari che sono in Africa a coniugare il verbo restare anche quando le condizioni ostili ti chiedono di scappare. Accetto di sacrificare i miei affetti cari per stare con la gente in questo momento. Faccio di tutto per evitare la pandemia perché non esistono ancora mezzi sufficienti per debellarla, ma posso fare qualcosa per debellare la fame, per consolare i sofferenti, per proteggere i bambini dalle situazioni di vulnerabilità e, soprattutto, per lottare ed esigere vaccini per tutti. So che è poco quello che posso fare, ma è sufficiente per riempire di senso la mia vita. Come se non bastasse il Covid, è riesplosa la miseria. Oltre 115 milioni di brasiliani, cioè metà della popolazione, non riesce ad alimentarsi sufficientemente in questi ultimi mesi. Cresce il numero di quelli che perdono il lavoro e finiscono sulla strada perché non riescono a pagare l’affitto. Il governo federale, dopo tre mesi senza dar risposte, ha deciso di dare un aiuto mensile di 40 euro al mese per ogni nucleo familiare. Con questo valore, a stento si fa la spesa di una settimana. Mangiare la carne in Brasile durante la quaresima non è stato un peccato, ma un miracolo. So che molte di queste realtà le state vivendo anche voi. Ma qui c’è un fattore crudele che rende più grave la situazione: la politica della morte. Nonostante i numeri spaventosi, c’è chi ancora non ci crede o minimizza la gravità della situazione. C’è chi si protegge e chi non prende nessuna precauzione. C’è chi segue gli orientamenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e c’è chi li disprezza. C’è chi ordina misure restrittive e chi le contesta. C’è chi propone di chiudere tutto per salvare vite e chi preferisce pagare il duro prezzo di perdita di vite umane pur di salvare l’economia. C’è chi si preoccupa di informare la gente e chi confonde le idee attraverso un bombardamento di bugie. Tutte queste contraddizioni esistono anche da voi. Ma qui la morte sembra essere diventata un’opzione politica, una scelta del governo. Persone elette per prendersi cura del Paese e della sua gente, in nome di ideologie perverse, stanno imponendo scelte che favoriscono il Covid e il suo potere mortale. Pur essendo un Paese in prima linea nelle campagne di vaccinazione in massa, questa volta il Brasile ha lasciato a desiderare non perché non avesse le opportunità di immunizzare la gente e di restituirle il diritto di vivere, ma perché c’è chi ha scelto di dar ascolto alle teorie cospiratorie e visioni deliranti piuttosto che al clamore della gente. La campagna di vaccinazione è cominciata in notevole ritardo, fino ad oggi solo il 10% della popolazione ha ricevuto la prima dose del vaccino.
Davanti a questo quadro capisco che devo restare qui in paziente attesa di poter rientrare in Italia. Aspetto con ansia questa opportunità di passare alcuni mesi con la mia famiglia. Noi missionari non cerchiamo un trattamento speciale, ma continuate a farci sentire a casa in Italia anche se continuiamo ad essere all’estero. In fin dei conti, siamo esportatori della solidarietà italiana e importatori di una ricchezza umana che rende ancora più bello il nostro Paese.
Padre Saverio Paolillo