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Continua, in questi giorni, il dibattito nel nostro Paese sul fine vita e sulla necessità di approvare o meno la legge sull’eutanasia.
Attualmente, è bene ricordarlo, in Italia l’eutanasia è ancora illegale. Questo significa che non è ancora possibile chiedere a nessuno di procurare la propria morte, nemmeno in quei casi in cui una persona sia affetta da malattia irreversibile. Tuttavia, esistono oggi altre strade per chiedere e anticipare la propria morte. La prima è ricorrere al suicidio medicalmente assistito: la persona ingerisce dei farmaci sotto la supervisione di personale specializzato, oppure premendo un bottone che inietta un farmaco in vena. È questa la strada che ha scelto Federico Carboni. In altri casi si si ricorre alla sedazione palliativa profonda e continua, finalizzata ad annullare del tutto la coscienza del paziente per evitargli ulteriori sofferenze, inducendo uno stato simile all’anestesia profonda o al coma farmacologico.
Federico aveva 44 anni e da 12 era rimasto tetraplegico dal collo in giù a seguito di un incidente stradale. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Dj Fabo, che ha depenalizzato il reato di “omicidio del consenziente”, Federico aveva deciso di chiedere di poter essere aiutato a morire e il 16 giugno dopo ulteriori mesi di sofferenza, ha potuto finalmente esaudire le sue volontà. È la prima persona, in Italia, che ha chiesto e ottenuto il suicidio medicalmente assistito.
Di seguito, vogliamo però porre all’attenzione dei lettori una riflessione sul valore etico della vita.
Sostenere la vita e la sua dignità, alleviando le pene di chi soffre, e non limitarsi a porre fine alle sue sofferenze, in realtà, questo dovrebbe essere il compito dello Stato, tuttavia con la morte di Federico lo Stato sta vivendo una profonda sconfitta, ma anche una perdita sulla quale tutti noi dovremmo riflettere. Il suicidio di Federico Carboni, finora noto come “Mario”, segna una sconfitta drammatica per la società intera, che non è riuscita a farsi abbastanza prossima e solidale con una persona che amava la vita ma non riusciva a sopportare la sofferenza. Lo Stato non ha fatto tutto quello che poteva e che doveva per evitare questo tragico esito, viste le enormi carenze socioassistenziali che affliggono le famiglie con malati a carico e l’assoluta insufficienza dei finanziamenti del sistema di cure palliative, che potrebbe aiutare molti malati come Federico a continuare a vivere con dignità.
L’auspicio è che lo Stato investa non certo nell’acquisto di farmaci che hanno l’obiettivo di porre fine alla vita di chi soffre, ma in quelli che consentono loro di continuare a vivere e a stare con i loro cari, alleviandone le pene e cercando di fornire loro tutto il supporto e l’assistenza medica e psicologica che necessitano. Aiutare a vivere, dunque, non a morire. Le sue ultime parole sono significative. “Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò”. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio”.
Francesca Leone professoressaleone@gmail.com