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La risposta più efficace alla diffusa sfiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche e nella politica, alimentata anche dalla percezione di una corruzione e di una presenza mafiosa negli Enti locali e sui territori dilagante – si veda quanto accaduto nella vicina Trinitapoli – è nelle mani di chi si candida e di chi va ad amministrare il paese, che dev’essere credibile e responsabile. Chi amministra una comunità deve porre ai primi punti della sua agenda politica la prevenzione e il contrasto alle mafie, alla corruzione, al malaffare, fenomeni che quotidianamente sottraggono ingenti risorse a tutti noi e minano le basi della democrazia. Chi si candida per diventare amministratore locale deve mettere in atto comportamenti coerenti e responsabili, che contribuiscano concretamente a costruire una cultura di legalità, di cittadinanza, di democrazia, di partecipazione, restituendo così credibilità alla politica.
Un impegno tangibile e concreto che si basa su legalità, trasparenza, attenzione e prudenza, responsabilità, rispetto e sobrietà, etica, contrasto alle mafie e alla corruzione. L’impegno a praticare, difendere e diffondere la buona politica, nonché quello necessario per costruire una giustizia sociale realmente capace di garantire i diritti fondamentali all’intera collettività spetta a tutti i cittadini e in particolar modo, alle donne e agli uomini che si candidano a governare le loro comunità, ponendosi come obiettivo esclusivo quello del perseguimento del bene comune e dell’interesse generale.
Si allarga infatti la separazione tra la politica intesa come campo di gestione di interessi particolari, terreno di malaffare e corruzione, e l’impegno sociale ispirato da una forte carica etica. Così pure si avverte una separazione tra ambito dello spirituale e dimensione civile. La città può essere solamente luogo di gestione di interessi e di scontro di poteri forti oppure è possibile un incontro tra politica come costruzione del bene comune e dimensione spirituale intesa come apertura alle dimensioni che vanno oltre la produttività, l’efficienza, l’abbondanza materiale e la capacità di consumo?
La politica è tale in quanto è costruzione di città, compaginazione di comunità in cui i rapporti sociali sono valorizzati non nel senso della competizione e dell’ostilità ma divengono rete di relazioni e legami che lasciano spazio per l’espressione delle persone nella loro libertà e responsabilità. E tale impegno per la costruzione della città, che sempre più oggi ha i connotati della città plurale e della città multiforme, non è solamente ambito d’impegno del singolo ma implica una responsabilità collettiva. E se la vita spirituale fosse una delle condizioni fondamentali di un’intensa vita sociale e politica?
Sono probabilmente molti quelli che ritengono che la spiritualità abbia ben poco a che fare con la politica. E questo è vero se per politica si intende potere, astuzia, compromessi, contrapposizione, manipolazione, pura efficienza: cioè un agire politico senz’anima; allora va bene ridurre la spiritualità alla semplice appartenenza religiosa, o peggio all’intimismo, al bigottismo, al fanatismo. Il discorso cambia se per spiritualità intendiamo la dimensione più profonda di ogni essere umano, il suo bisogno di relazionarsi correttamente con tutti i suoi simili e con tutte le altre fonti della vita; insomma il bisogno di senso. Tutti noi infatti possiamo condividere la convinzione che è ora di dare radici più profonde, spirituali per l’appunto, a quell’azione politica che spesso è asfittica, senza respiro, derubata del tempo necessario al lavoro della concertazione, strangolata dalla pressione della comunicazione immediata e dell’informazione non-stop, sottomessa alla tirannia del breve termine, dell’economia capitalistica, della scadenza immediata.
È quanto mai urgente che lo spirito umano sappia affrontare le sfide della politica di oggi ricorrendo all’immaginazione, alla creatività e al coraggio che questo compito ormai inderogabile richiede. Anche l’azione politica quindi ha bisogno di ripartire su basi nuove più creative, più lungimiranti, capaci di pilotare i grandi cambiamenti che stanno avvenendo verso orizzonti sensati, che non tradiscano i grandi sogni di benessere, di pace, di giustizia della nuova umanità che sta faticosamente emergendo. Non abbiamo bisogno allora di personaggi, ma di persone autentiche, che siano in contatto costante con la loro interiorità, che condividano la convinzione di Gandhi che “prima di trasformare gli altri bisogna prima trasformare noi stessi”, che sappiano intessere a tutti i livelli relazioni di interscambio e rispettare il potere personale di cui ciascun essere vivente – nella sua dignità – è depositario. Lo spazio interiore è il primo spazio di libertà in quanto spazio di coltivazione della rivolta, del “no”, dell’iniziare a immaginare e pensare qualcosa di alternativo allo stato delle cose. E la politica deve fornire alternative tra opzioni diverse…deve comunque trovare la forza per immaginare un futuro e resistere al presente.
Si tratta di resistere al paradigma tecnocratico oggi vincente, di evitare le derive autoritarie, di uscire dall’indifferenza per entrare in un rapporto vitale con la realtà e con gli altri, di imparare invece a nutrirsi di orizzonti che superino l’asfittico individualismo e colgano il valore grande del bene comune, del bene dell’altro.
L’uomo politico non è allora un politicante, ma è la persona matura che sa essere se stessa in tutte le situazioni della vita. Essa non parla per ingannare e per manipolare; sa dare alle parole il loro giusto peso e quindi sa essere di parola. Sia Socrate che Gesù non hanno scritto nulla, ma la loro parola ha dimostrato una potenza e una forza capace di attraversare i secoli. La nostra epoca, avendo urgentemente bisogno di ripensarsi e rinnovarsi radicalmente, non può prescindere dal dare attuazione alle potenzialità umane più alte legate alla profondità dello Spirito. Anche – e forse in particolare – per quanto riguarda l’azione politica.
don Mimmo Marrone